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Diversi giornalisti sono stati uccisi nel mondo

Le Filippine sono uno dei quattro paesi che sono al centro di una campagna globale per la libertà di espressione e di stampa, infatti la comunità giornalistica locale ha appena perso un altro membro per mano di assassini non identificati.


Continuano a morire giornalisti senza trovare chi li uccide
Un altro giornalista morto nelle Filippine
Jose Bernardo, un giornalista e broadcaster della stazione radio dwBL a Manila e reporter per la radio dwIZ, è stato colpito più volte da due uomini in sella a una moto, fuori da un ristorante a Quezon City ed è morto di seguito in ospedale per le ferite riportate.

Una persona è stata arrestata e le autorità stanno controllando tutta la zona e stanno interrogando il sospettato.

In tutto il mondo si è aperta una campagna per la libertà globale di espressione e di stampa e va dal 2 al 23 Novembre.

Nel mese di dicembre del 2013, l'ONU ha proclamato il 2 novembre Giornata internazionale per porre fine all'impunità per i crimini contro i giornalisti.

Il 2 novembre è stato scelto perché era in quella data che due reporter di Radio France Internationale (RFI), Ghislaine Dupont e Claude Verlon, sono stati uccisi in Mali nel 2013, mentre il 23 novembre segna il sesto anno dopo l'attentato che è costato la vita a 58 persone, 32 dei quali giornalisti, nella città di Ampatuan, nella provincia di Maguindanao, nelle Filippine.

Il massacro di Maguindanao è stato definito dal mondo intero il peggior attacco singolo alla stampa.

In un comunicato, della Federazione Internazionale dei giornalisti (IFJ), con sede a Bruxelles (un'organizzazione globale che rappresenta oltre 300.000 giornalisti) si dice che i governi del mondo e le autorità responsabili devono aiutare a non lasciare impuniti i crimini contro i giornalisti.

La campagna IFJ pone l'accento specifico sulle Filippine, il Messico, l'Ucraina e lo Yemen.

Nelle Filippine sono 169 il numero di giornalisti uccisi dal 1986, quando le Filippine hanno riguadagnato la libertà di stampa, dopo la caduta del forte Ferdinand Marcos.

In Messico, 50 giornalisti hanno perso la vita dal 2010 e di questi casi, l'89 per cento restano irrisolti.

Nello Yemen, l'IFJ ha registrato 15 giornalisti uccisi dal 2011 e dieci di loro sono morti nel 2015, senza che nessuno degli autori sia stato assicurato alla giustizia.

In Ucraina, dal 2014 si riscontrano otto omicidi, 125 intimidazioni, 322 aggressioni, 162 tentativi di censura e 196 casi messi a tacere e delle 54 indagini avviate, solo tre casi hanno raggiunto i tribunali.
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Il Giappone piange la morte del giornalista Kenji Goto ucciso dagli estremisti in Siria

Il giornalista Kenji Goto è colui che ha raccontato al mondo dello tsunami in Giappone nord-orientale, del conflitto in Sierra Leone ed è sempre stato attento a raccontare la storia dei bambini e dei poveri che si trovano a vivere esperienze tragiche. 


Kenji Goto un giornalista sincero e onesto
La notizia della sua uccisione, in un video presumibilmente fatto dai militanti islamici, ha lasciato nello sgomento tutti i Giapponesi che avevano pregato e sperato nel suo rilascio.

Kenji Goto in una delle sue ultime interviste diceva: "Voglio coccolare tutte le persone che soffrono, perchè le loro storie, il loro dolore mi toccano il cuore e io voglio scrivere i loro racconti per non fargli perdere la speranza".

Kenji Goto era un uomo con il codino dalla risata spensierata, era un giornalista freelance di vecchia data, lavorava spesso con registi e produttori televisivi giapponesi e i suoi commenti hanno fatto il giro del mondo e ha scritto un libro nel 2005 raccontando la sofferenza dei bambini in Sierra Leone e l'ha intitolato "Vogliamo la pace, non i diamanti".

Kenji Goto aveva sempre sottolineato che non era un reporter di guerra ma un giornalista della gente, che raccontava la storia delle persone normali, che avevavo la sfortuna di abitare in zone di guerra e nella sua vita ha girato nei campi profughi e negli orfanotrofi e ha descrritto le violenze che i piccoli subiscono, ha parlato della fame nel mondo e degli incubi della guerra.

La gente giapponese ha capito tutto questo e ha risposto con una manifestazione a sostegno della sua liberazione, anche perchè il suo lavoro vive nei cuori di molte persone e il suo sorriso è stampato nella gente che ha aiutato, migliaia di firme sono state raccolte e tante persone si sono riuniti davanti all'ufficio del primo ministro, alzando cartelli che dicevano: "Free Kenji" e "Io sono Kenji".

Goto era andato in Siria alla fine dell'anno scorso per cercare di salvare l'altro ostaggio giapponese, Haruna Yukawa, di 42 anni, ma entrambi sono stati brutalmente uccisi le ultime parole che ha pronunciato di fronte alle telecamere dei militanti islamici sono state: "Non importa cosa succede a me, io amerò sempre il popolo della Siria".
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